sabato 4 febbraio 2012

capitolo inedito 3


22. Scambiatevi un segno di pace.

È puerile quello che sto per raccontare? Forse. Ma io non ho mai assistito a tante messe in tutta la mia vita come in questi ultimi anni da sindaco. Non sono religioso: non ho avuto il dono della fede, dovrei dire usando il linguaggio dei credenti. Per molti anni ho pensato di avere avuto il dono del pensiero razionale. Ora sono più prudente su di me e molto più tollerante verso chi crede. I miei amici stanno in tutti e due i mondi: con una qualità ben distribuita, direi: pregi e difetti. Anche io per loro, che creda o no gli è indifferente. E accettano i miei difetti di tardo razionalista, gli amici veri. Penso sia un atteggiamento molto civile: credere o non credere affidato all'intima coscienza di ciascuno. Senza bandiere e sbandieratori. Un segno di civiltà: fragile e che va difeso. Di fronte ai tanti integralismi (e alle molte ignoranze). Per questa convinzione di tolleranza ho preso posizione contro la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche: che c'è sempre stato e non ha mai dato fastidio a nessuno (e non mi ha mai obbligato a fare il segno della croce quando tutti gli altri lo facevano, maestra compresa). Per questo sono contrario all'introduzione del crocefisso nell'aula del Consiglio comunale: che non c'è mai stato e che sarebbe una forzatura introdurre. E citare nei trattati dellEuropa (patria di Kant e dellilluminismo) i fondamenti giudaico-cristiani, mi sembra un impoverimento e non un arricchimento della nostra comune identità. Non sono agnostico per abitudine (e non voglio esserlo per ruolo): per parte mia, continuo ad apprezzare la razionalità laica come un atto di coraggio: di fronte alle domande sulla vita e sulla morte cui non si sa rispondere. Sono molto convinto che possa esistere una etica non religiosa solida e apprezzabile almeno come quella cattolica (o ebraica, o musulmana). Credo che il "giusto e il non giusto" laico e religioso si assomiglino molto. E sono sicuro che i nostri padri e i nostri nonni si rivolterebbero nella tomba a pensare che oggi litighiamo su un presepe da esporre (oppure no) vicino all'albero di natale del Comune. Alle volte si ha l'impressione che la gente stia perdendo la bussola. E persino Don Camillo e Peppone ci appaiono eroi di una convivenza e di una civiltà che sembra non appartenerci più.
Torniamo alle messe. Ho partecipato sempre a quelle ufficiali, assieme alle altre autorità. Perché credo, in quel caso, di dover rappresentare la comunità senza fare distinzioni e senza dover testimoniare le mie personali convinzioni. La messa del 4 novembre, con le associazioni di ex militari e i labari; quella del 25 aprile con le associazioni di ex partigiani e qualche residua bandiera rossa. Sono andato a tutte le cerimonie funebri degli amministratori che sono mancati in questi perché la messa per i defunti è sempre un momento di ricordo e riflessione per una persona che ci ha lasciato. Anche per chi non crede. Sono stato alla messa di chiusura dell'anno giubilare del 2000 che è durata un'ora e quaranta minuti tra cori e liturgia solenne. Ma alla fine sono stato ripagato con una "remissione generale dei peccati" che il Vescovo ha elargito ai presenti. Un "perdono totale": (tombale, diremmo noi, se il termine non fosse fuori luogo) che mi ha fatto sentire più leggero, quella sera di dicembre. E mi ha fatto capire che potere avessero davvero le indulgenze medioevali.
Alle messe di solito ascolto le cose che vengono dette e lette. Sforzandomi di cogliere, tra le parole già sentite tante volte, quel tanto di filosofico e di etico che c'è nelle scritture e nella liturgia. Non è sempre facile. Ma mi sforzo di imparare qualcosa di più. Di non essere passivo (o, peggio, indifferente). Le omelie del Vescovo che c'era durante il mio primo mandato erano difficili e spesso gliene ho chiesto una copia scritta da poter rileggere con calma. Le omelie del nuovo Vescovo sono persino piacevoli da ascoltare (divertenti, direi, se non si offendesse). Ma non leggére: perché dietro il suo modo di essere confidenziale si percepisce una mente acuta e colta.
            Sopporto meno le liturgie laiche, specie quelle pompose come l'inaugurazione dell'anno accademico, con tutte quelle stole e quegli ermellini fuori tempo massimo. Una volta ero seduto con la fascia accanto al Vescovo e all'uso ripetuto del latino goliardico confesso che qualche battuta ironica ci è scappata.
Alle messe cui partecipo non evito mai di stupirmi di quanto sia mediocre la parte musicale. Banale e sciatta persino. È un paradosso inspiegabile: siamo da secoli un paese pieno di musicisti che hanno scritto messe e musica sacra, eppure in Italia per le funzioni anche le più solenni si usano motivetti e filastrocche da far cadere le braccia (o le orecchie). A confronto con la musica sacra dei paesi protestanti siamo come vocalisti di quartiere di fronte al coro della Radio svedese, o la banda cittadina di fronte ai Berliner. Non so il perché. Mi sono sforzato di cercarne uno e mi è venuto in mente che forse la differenza sta nel tipo di chiesa e nella liturgia che sono diverse. Noi abbiamo le cattedrali più belle e famose del mondo e tutte sono piene di sculture e quadri (spesso capolavori originali) e loro hanno chiese spoglie e disadorne. Se avessimo anche grande musica la messa sarebbe troppo carica di messaggi. Loro, nei paesi protestanti, hanno cerimonie sobrie e la musica diventa più importante: l'unica via di comunicazione tra umano e divino. Non so se sia vero. Però che le nostre musiche cantate e suonate in chiesa in genere facciano pena è un fatto inequivocabile. Poi, se le abbiamo sentite fin da bambini, evocano tante cose e forse commuovono pure: come ascoltare "Tu scendi dalle stelle" sotto Natale. Ma a me non succede e quelle piccole e semplici melodie e che passano in minore alla seconda strofa e ritornano subito nella tonalità maggiore per chiudere, non cessano mai di stupire: in negativo.
Le messe in cui mi sento più partecipe, in qualche modo, pur seduto tra i banchi, non sono quelle cui vado con la fascia. E nemmeno quelle per i defunti, alle quali si partecipa per amicizia o per testimonianza. Sapendo che si fa una cosa ben fatta andando, ma che nessuna presenza istituzionale può lenire il senso di vuoto che provano i parenti della persona scomparsa.
Le messe che mi commuovono davvero sono quelle con i carcerati. Forse è anche l'atmosfera natalizia, quel tanto di voglia di essere insieme che si percepisce. Forse anche il fatto che si sta tutti in un camerone adibito a cappella, sacerdoti, detenuti, parenti e volontari che aiutano i detenuti, guardie carcerarie comprese. Ma quello è l'unico momento in cui non mi sento passivo ad assistere a una messa. E quando, l'ultimo Natale, un detenuto ha detto ad alta voce "io ho girato molte carceri (perché sono un pocodibuono) ma un vescovo e un sindaco insieme a farmi gli auguri non li avevo mai visti", mi sono sentito utile. In carcere anche le musiche che cantano e suonano i detenuti sembrano meno banali e mi sono commosso ad ascoltarli cantare le canzoni di Natale con la voce acuta, alla napoletana. Mi è venuto in mente quando da bambini per le feste andavamo a casa dai nonni, in provincia di Avellino (in mezzo alle montagne) e di quando mio nonno o qualche zio si sedevano al pianoforte a suonare e una decina di nipoti faceva coro. Un anno sono andato anche a suonare assieme ai detenuti durante la Messa officiata dal Vescovo. Un intermezzo musicale così sentito e partecipato emotivamente che nessuno mi ha fatto notare le incertezze al flauto.
In carcere quando l'officiante dice "scambiatevi un segno di pace" sai che stai per fare una cosa vera. Che ha un valore non rituale per la persona cui stringi la mano. Un gesto piccolo di solidarietà e vicinanza che resta nella memoria di ciascuno.

Mi sono preparato una frase di benvenuto per il Vescovo. Se verrà davvero alla mia relazione annuale sulle attività del Comune (il "discorso sullo stato del paese" con la p minuscola), sarà la prima volta in 6 anni che un Vescovo viene a sentire cosa dice il Sindaco.
Ho un appuntamento con lui alle 15, nella sede vescovile: che poi vuol dire dall'altra parte della strada rispetto al mio ufficio. Dalle mie finestre si vedono ovali colorati con i simboli della Diocesi e suoi personali. Il Vescovo invece vede una lapide risorgimentale sotto le mie finestre che dice: "Finalmente liberi dal giogo della Chiesa, i cittadini..."
Voglio anticipargli che, se viene, gli presenterò il Presidente della Regione e forse un po' di altri sindaci emiliani. E poi devo dirgli che ho pensato di regalargli una bicicletta alla fine della conferenza: non vorrei metterlo in imbarazzo.
Alle 15 e 3 minuti entro nel grande androne del palazzo del 700 sede della Curia Arcivescovile e lo vedo subito, da solo, che mi sta aspettando dietro al cancello. Ci salutiamo cordialmente, perché è una persona che mette subito chiunque a suo agio e ci avviamo su per la grande scalinata che porta al suo studio e agli appartamenti. Mi fa vedere i lavori che stanno facendo per ospitare alcune suore, e poi mi introduce alla serie di saloni grandi e di ambienti più piccoli in cui lavora e che si affacciano sulla piazza della  Cattedrale.
Saluto don Carlo, il suo segretario, che è persona molto giovane e gentile. Gli chiedo conferma della presenza del Vescovo alla conferenza e lui mi tranquillizza: verrà e avrà il tempo di partecipare fino alla fine. Ringrazio anche lui perché so che nell'agenda del Vescovo riservare due ore e mezzo a un avvenimento istituzionale in cui non ha parte diretta è molto raro. Approfitto per accennargli alla bicicletta e mi pare che l'idea non gli dispiaccia.
Il Vescovo mi fa accomodare nel suo studio. Si siede e mi dice che ha letto le mie relazioni degli anni precedenti per capire di cosa si tratta. Rispondo che non doveva, che si tratta solo del bilancio di un anno di attività dell'amministrazione, che lo faccio tutti gli anni: niente di più. Lui  voleva capire il taglio delle relazioni e si è permesso di buttar giù qualche riga. "Vuole che le guardiamo insieme?" Io non sono certo di aver capito, mi passa un foglio e comincia a leggere: "Nell'ultimo anno si è insediato a Ferrara il nuovo Arcivescovo..." si ferma e precisa: "l'ho scritta pensando che sia lei a leggerla alla fine della sua relazione, ma solo se le viene utile..."
"Ma certo, la ringrazio molto perché mi evita un lavoro..." rispondo io. E proseguiamo. Il testo contiene una citazione del mio discorso di benvenuto quando il Vescovo è arrivato in città e richiama i momenti più importanti vissuti insieme, le occasioni in cui ci siamo visti. Ricorda anche l'iniziativa organizzata dal Prefetto in cui hanno parlato il Vescovo, il Rabbino e un rappresentante della comunità musulmana. E quando, per i funerali di Giovanni Paolo II il Vescovo ha chiesto al Sindaco, al Rettore e al Prefetto di prendere la parola in Cattedrale durante la messa solenne.
Facciamo qualche piccola correzione e poi me la consegna dicendo: "usi e abusi del testo come vuole: utor et abutor". Mi riaccompagna alle scale. Ci salutiamo dandoci l'arrivederci al giorno dopo. Penso che inserirò il suo testo (così com'è) alla fine della relazione.

Non è vero che la persona più importante di una città sia il Sindaco, anche se lui finisce per crederlo. Il Sindaco rappresenta i cittadini e la loro volontà: potrebbe davvero parlare in nome del popolo del suo Comune, lui sì (molto meno un giudice che non sia stato eletto e che rappresenta solo in modo molto indiretto il popolo italiano: ma questo e' un altro discorso). Il sindaco rappresenta anche unistituzione antica: il Comune. Cioè il luogo in cui si mettono "in comune" gli interessi separati di ciascuno e si prendono le decisioni migliori per il bene di tutti. Ma altre importanti cariche, con altre competenze rilevanti, stanno sul palco delle cerimonie pubbliche, o sedute nelle file dove c’è scritto riservato: il Prefetto che rappresenta lo Stato (e il Governo che lo ha nominato), il Questore o capo della pubblica sicurezza, il Presidente della Provincia (perché dove c'è un Comune c'è comunque sempre - inesorabilmente - una Provincia, anche se non saprei spiegare perché, specie quando i Comuni sono grandi), il Presidente del Tribunale (che rappresenta il potere giudiziario) se c'è un Tribunale. Queste persone sono chiamate "autorità civili" dal protocollo. Poi ci sono le autorità militari: i comandanti delle diverse armi e delle polizie (esercito, aeronautica, marina e poi carabinieri, polizia, finanza. E della polizia municipale: i vigili). Infine, se il Comune ne è sede, c'è il Vescovo: nel nostro caso l'Arcivescovo. Il Vescovo ha diritto al titolo di Eccellenza perché rappresenta anche uno Stato estero oltre che la Chiesa e la comunità dei cattolici.
L'Arcivescovo è pastore di anime, ma non è che il sindaco sia pastore dei corpi. Non esiste l'esclusiva in materia di benessere dei cittadini: il Vescovo si occuperà anche degli uomini in carne e ossa e al sindaco spetta migliorare anche le condizioni spirituali della sua gente. Ce lo diciamo spesso come battuta con Sua Eccellenza l'Arcivescovo. Se non c'è l'esclusiva vuol dire che, in qualche misura, vi è sovrapposizione. Si può litigare per difendere i propri spazi o collaborare. Per secoli abbiamo litigato: ma non ne vale più la pena. Se avete la fortuna di avere un Vescovo che ama il dialogo e non la contrapposizione (e se voi amate il dialogo) si può davvero collaborare per il bene della città e della comunità, con beneficio anche della politica. In questo penso di essere stato abbastanza fortunato.

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