mercoledì 1 febbraio 2012

capitolo inedito 2


2. Bestiario minimo (un tranquillo zoo di provincia)

I primi mesi del '99 sono stati mesi duri: per me incomprensibili e difficili. L’ostilità’ che percepivo in certe frange dei vertici DS mi lasciava stupefatto e amareggiato. Ma come, non mi avevano chiamato proprio loro a fare il sindaco? Non tutti, evidentemente. Roberto mi sosteneva, e molti altri con lui. Ma una parte dei vecchi dirigenti continuava a pensare il rinnovamento in chiave Gattopardo: una pantomima necessaria per sopravvivere e non cambiare nulla. E quando compresero che non sarebbe stato così, che pur nella mia inesperienza le cose sarebbero cambiate davvero, cercarono di attaccarci in tutti i modi. Anche sulla stampa locale, ovviamente, e per di più quella di sinistra. Sulla “Nuova” comparve una serie di articoli (rigorosamente firmati) il cui succo, con diverse sfumature, era sempre lo stesso: vedremo quanto durerà, non è il suo mestiere, non conosce la città, è un sindacalista non un politico, prima o poi si dimetterà da solo. Per non dire delle lettere anonime pubblicate e forse scritte dalla redazione. Persino una rubrica satirica settimanale firmata “Fra’ Girolamo” mi sono cuccato, piena di veleno e di insulti. Ho sentito dire che era scritta da un consigliere comunale di maggioranza ma non ne ho nessuna prova.
Ora non mi sembra vero. Ma sono occorsi un paio d'anni almeno per temperare questa situazione. Ed è stata molto dura per me e per Montanari. Non che ora siano finiti gli attacchi e i pregiudizi, ma l’aria è cambiata. O forse sono io che ho imparato a fregarmene.
Un giorno Eileen, che non ha esperienza diretta di politica, mi ha chiesto: “Quali sono i rapporti tra te e il segretario dei Ds? Che ruolo svolge, oltre ad averti chiamato?” Le ho risposto che da noi ancora, per fortuna, il partito dei Ds è in grado di registrare gli umori e le posizioni di molti strati sociali, anche non di sinistra. “Devi immaginarti, le ho detto, che Roberto sia come un elefante con un grande orecchio sempre aperto. In grado di registrare anche il minimo rumore e sentire il minimo odore strano con la proboscide. Ascolta, annusa, filtra, pesa le cose che gli arrivano (e che a me arriverebbero in ritardo) me le riporta e le discutiamo insieme. L’idea di Roberto (che è già corpulento di suo) come di un grande elefante che veglia sugli umori della città ci ha tenuto di buon umore in quei mesi difficili.
       A un mio zio che al telefono mi chiedeva (da Roma, dove abitava): "Come sta andando? è una bella esperienza?" ho risposto, senza pensarci su: "Mi sento come un cittadino di Sarajevo, che esce di casa per procurare l'acqua alla sua famiglia e i cecchini, dai tetti, gli sparano addosso". Lui che era sensibile alle immagini cinematografiche c'è rimasto male e ogni tanto mi ha ricordato quel primo sfogo forse esagerato.
        Però era davvero quello che sentivo. E a tutti coloro che mi chiedevano: "Ma chi te l'ha fatto fare di tornare qui?", in quei primi giorni non sapevo cosa rispondere. Li avrei morsi nel collo come un serpente, ma non trovavo le parole giuste per replicare.
            Ho conservato una foto della prima volta che salgo lo "scalone municipale" (una bella scala monumentale di marmo del '400)  ed entro, da Sindaco, nello storico palazzo del Comune. Sono più magro di oggi, porto un vestito leggero color crema e una borsa pesante. Ma soprattutto: ho gli occhi di un cervo che si sente braccato dai cani (o di un pollo che entra da solo nella pentola, se si preferisce).
  
Quella di Sarajevo non è l'unica immagine pesante venuta fuori dalle mie prime esperienze. Tra il tragico e il comico, un giorno, dei tanti che ci trovavamo a fare il punto sui nostri problemi nel mio (sontuoso) nuovo ufficio, ho detto a Roberto che mi sentivo come un autista che deve parcheggiare delle corriere piene di gente in un piazzale già stipato di camion e deve fare in fretta perché altrimenti la gente si arrabbia, ma nelle manovre non può urtare niente e nessuno degli altri veicoli parcheggiati, altrimenti si arrabbiano i camionisti. Un'immagine un po' barocca per dire che mi sentivo bloccato dai veti di quelli che c'erano prima e ancora stavano in mezzo a noi. Poi gli ho chiesto come lui invece vedeva il suo lavoro. Montanari ha risposto con una delle sue metafore fantastiche (e fulminanti): "mi vedo a mescolare e rimescolare un pentolone di brodo puzzolente - mi ha detto - in cui galleggiano dei pezzi di carne. Ogni tanto ne tiro su uno, te lo mostro e ti dico: "guarda... questo è un cavallo!" Tu mi rispondi: "attento Roberto che quello non è un cavallo, è uno zoccolo marcio con un pezzo di gamba attaccata". E io ti rispondo: "è pur sempre uno zoccolo di  cavallo: e comunque è l'unico cavallo che abbiamo in questo momento!"
Ne ridiamo ancora adesso, quando ci torna in mente la storia del pentolone.

Nessun commento:

Posta un commento