domenica 27 maggio 2012

Ad perpetuam rei memoriam: cose da nulla...

Mente Locale, Bompiani, pgg. 47-51

.... Il sindaco è, insieme, vertice dell’esecutivo, in altre parole capo del governo locale, e responsabile dell’amministrazione, cioè dell’apparato di funzionari e dirigenti che realizzano e rendono operative le decisioni dell’assemblea (il consiglio) e dell’esecutivo (la giunta).
Nella prima funzione il sindaco ha un potere quasi assoluto. Nomina e revoca gli assessori che sono, secondo la riforma del ’93, suoi collaboratori fiduciari e non più rappresentanti dei partiti.
La funzione del sindaco come capo dell’amministrazione è invece temperata in vario modo. Esiste una figura obbligatoria di segretario comunale, nominato dal sindaco sulla base di un elenco di persone appartenenti a un albo nazionale dei segretari comunali: una sorta di tecnocorporazione di controllori che sopravvive in barba al principio di responsabilità. Il segretario comunale è garante della congruità degli atti, come una sorta di notaio, ma in qualche misura può vigilare e sovrintendere, se incaricato anche di questo, sull’operato degli uffici. Esiste inoltre la figura, non obbligatoria, del direttore generale del Comune o city manager, scelto dal sindaco sulla base di competenze ed esperienze di direzione maturate anche all’esterno del Comune. Il direttore, che risponde unicamente al sindaco, è a tutti gli effetti il “responsabile della gestione”. Il legislatore, nel 1997, ha immaginato con questa figura di portare un po’ di cultura manageriale privata all’interno di un ente pubblico non abituato a criteri di efficienza, efficacia, produttività, obiettivi assegnati, responsabilità, rendicontazione ecc. Le esperienze nei Comuni che hanno introdotto questa figura sono varie. In alcune città l’esperimento è andato bene e il sindaco ha nel direttore un braccio in più, un controllo quotidiano sull’attività degli uffici: tempi, modi, relazioni con altri enti e rapporti con i cittadini. In altri casi, più frequenti,si è determinato un conflitto esplosivo tra direttore e dirigenti, direttore e assessori, direttore e sindaco. Nella mia città è accaduto proprio questo. Il direttore che ho scelto, un brillante manager (anche lui proveniente dal settore cooperativo), ha ini- ziato a litigare con i dirigenti, a contrapporsi agli assessori accusandoli di scarsa capacità, a dividere i collaboratori tra quelli che stavano dalla sua parte e quelli che erano contro di lui. Soprattutto, ha immaginato che il sindaco fosse una figura istitu- zionale simbolica e che le vere decisioni le dovesse prendere tutte e solamente lui. Io e il vicesindaco abbiamo cercato di spiegargli per un anno intero che così non andava bene, che le sue capacità erano riconosciute da tutti (che qualche ragione per criticare i dirigenti l’aveva), ma che il suo modo di fare era devastante e inaccettabile. Lui prometteva di cambiare ma, evidentemente non voleva o non ci riusciva. Quando ha querelato due dirigenti perché riteneva l’avessero diffamato, abbiamo deciso di licenziarlo perché era venuta a mancare la fiducia nei suoi confronti. Gli abbiamo liquidato le cifre – molto alte – previste dal suo contratto e abbiamo vinto la causa civile che ha immediatamente intentato contro il Comune per avere più soldi del dovuto. Inutile dire che l’opposizione mi ha attaccato a lungo su questa vicenda: prima per averlo scelto come direttore generale, poi per averlo pagato molto e infine per averlo licenziato. Avevano ragione e, per un paio d’anni dopo quell’esperienza traumatica, abbiamo rinunciato alla figura del direttore generale, cercando di risistemare gli uffici e incollare i pezzi della macchina comunale che lui aveva rotto. Poi le funzioni del direttore le abbiamo affidate, come molti altri Comuni, al segretario comunale.
Ci sono due particolari paradossali e persino ridicoli in questa vicenda che è stata per me molto penosa. Il primo è che i sindacati dei dipendenti comunali stavano con il direttore e non con i dirigenti e i dipendenti (tanto meno con il sindaco ex sindacalista della Cgil). Così ho smesso di incontrarli, anche perché in fase di contrattazione usavano tecniche di rilancio negoziale non degne di un sindacato serio.
Il secondo paradosso è che ora l’ex direttore ha abbandonato l’abito del manager superprofessionale e superpagato e si è dato alla politica. Ha fondato una lista civica quasi famigliare con il sostegno del movimento di Beppe Grillo e alle ultime elezioni è diventato uno dei capi dell’opposizione in consiglio comunale. Adesso sostiene che è stato licenziato perché si era opposto ad alcune decisioni prese dal sindaco e dalla giunta (tra cui la realizzazione del nuovo ospedale di Cona) ma è una motivazione di pura fantasia. È stato licenziato perché voleva fare il sindaco senza essere stato eletto.
Però l’errore di averlo scelto non posso imputarlo a nessun altro che a me; complici le raccomandazioni di alcuni dirigenti del mondo cooperativo di cui all’inizio mi sono fidato.
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